insieme
         
Marracciu  
       
 
Giovanni Battista Sitzía nacque a Gonnosfanàdiga il 17 luglio del 1808, in una modesta famiglia contadina. Fra tre anni appena ricorrerà il dugentésimo anno della sua nàscita. Ricordàvano, un trentennio, un quarantennio fa, alcuni anziani, di aver sentito raccontare che il padre dell’artista, Francesco, che possedeva un fazzoletto di terra, con qualche pianta d’olivo, insieme con sua moglie María Chiara Peddis, solitamente si recava, almeno una volta la settimana, per un anno intero, a Gúspini e ad Arbus, certamente a piedi, a véndere le bacche d’oro del suo oliveto, perché suo figlio potesse acquistare le tele e i pennelli per le sue òpere. Ciò significava che, per i suoi genitori, senza alcun dubbio, Giovanni Battista, era un vero artista, un uomo che sentiva e si esprimeva per tutti gli altri uòmini: di Gonnosfanàdiga, di Gúspini, di Arbus, di Villacidro, di tutta la Sardegna, dell’universo mondo, insomma. Un’illusione? Forse. Ma di lui ci ricordiamo ancora oggi. Anche se di lui conosciamo ben poco. E quello che conosciamo non può davvero esser considerato un capolavoro. Però è un segno, un venticello, una píccola luce del passato che è ancora qui in mezzo a noi. Forse in qualche casa. Certamente nella penombra di una chiesa.
Suo padre, sua madre credèvano in lui. Credèvano nel pittore che aveva difficoltà anche a trovare i colori per le sue immàgini. I colori, Giovanni Battista Sitzía, se li fabbricava da sé, con erbe, terre, gambi, pètali, pistilli di fiori, foglie e piccioli. Mi ricorda, per questo, un grande artista, un grande amico che ci ha lasciati alcuni anni or sono, l’emiliano Pietro Ghizzardi, il secondo della tríade Ligabue-Ghizzardi-Rovesti. Marracciu e Ghizzardi. La pittura era il loro mestiere. Per Marracciu, la sua única professione. Non aveva altro da fare se non dipíngere e, a stento, riusciva a véndere le sue tele. Dipingeva anche nelle pareti, nelle volte delle case dei proprietàri del paese, dei ricchi dei centri vicini. Insegnava, ai cosiddetti “pittori” tra i “maistus de muru”, agl’imbianchini, l’arte del segno e della figura, a impastar colori, a tracciar línee, contorni, frègi, ornamenti, nei muri delle abitazioni private e nelle chiese, aprendo una vera e propria scuola peripatètica d’arte pittòrica, nella perifería del paese, presso le sponde del rio Piras, nei vecchi confini tra Gonnos e Fanàdiga, nelle strade, nei cortili. Con i pennelli e le tele sottobraccio. Con i cavalletti a tracolla.
Solo racconti. Soltanto voci che ci raggiúngono dal passato…. Ma, in raltà, non sappiamo niente della sua vita. Niente della sua morte. Neppure la data. Certamente indagheremo. Fin ora siamo appena riusciti a identificarlo, a collegare l’uomo Giovanni Battista Sitzía con l’artista di cui conosciamo il nome d’arte, il soprannome o lo pseudònimo che dir si voglia, Marracciu, grazie alle indàgini, all’intúito e alla perspicacia di un grande studioso gonnese, monsignor Severino Tomasi, che negli anni tra il Cinquantaquattro e il Sessantaquattro pubblicava le sue ricerche stòriche nel giornale diocesano “Nuovo Cammino”. Fu lui, in una sua pàgina riportata nella pubblicazione del 1997, Memorie del Passato, stampata per l’impegno e la dedizione di alcuni sacerdoti, primo Monsignor Abramo Atzori, don Giovanni Pinna, don Salvatore Pinna, don Ignazio Orrú, prof. Cornelio Puxeddu, don Franco Tuveri e del diàcono drammaturgo Salvator Angelo Spano, di Villacidro, a presentàrcelo per la prima volta. Marracciu. L’artista di Gonnosfanàdiga. Marracciu. Un po’ come il Tintoretto, il Canaletto, il Pisanello, ecc… Probabilmente, storpiando il cognome di quel grande che fu il quattrocentesco Masaccio di San Giovanni Val d’Arno, il cui vero nome è invece Tommaso di Ser Giovanni Guidi, qualche burlone, a Gonnosfanàdiga, lo soprannominò Marracciu. Il Masaccio nostrano. O forse proprio perché la gente trovava in lui, in Masaccio, un antesignano, una sorta di maestro spirituale di Giovanni Battista, per la plasticità delle sue figure, per l’energía dei corpi, l’elasticità dei movimenti rappresentati, per la vivacità, il contrasto dei chiaroscuri, per la prospettiva, e cosí via….Marracciu è un artista del nostro Medio Campidano, della nostra provincia e della nostra terra.
Nella parrocchiale di Santa Bàrbara di Gonnosfanàdiga c’è un grande dipinto su tela che rappresenta la Vérgine col Bambino tra gli Angeli e le Anime purganti. Il dipinto ricorda tantíssimo altri dipinti símili di grandi dimensioini, uno nella chiesa de Sa Gloriosa di Masullas, da lui certamente dipinto, uno nella chiesa parrocchiale di San Sebastiano di Arbus, uno della parrocchiale di Serramanna e infine, quello piú bello e antico, nel Museo d’arte sacra di Villacidro, attribuíbile al napoletano Sergio Tonelli della fine del XVIII sècolo.
Ci piace ricordarlo non certo per vanità o per campanilismo. Anche per onorare il nostro paese, la nostra terra. Certamente. Ci piace ricordarlo soprattutto perché per tantíssimo tempo, per troppo tempo, nessuno, prima d’ora, a parte il caso isolato e quasi totalmente inosservato e inascoltato di monsignor Tomasi, ha mai cercato di dar giustizia a chi, nel silenzio e nella modestia, in tutta la sua breve vita terrena ( si dice che sia vissuto poco piú di trent’anni), ha cercato, con l’arte dei colori, l’universalità, la fratellanza tra gli uòmini, la bellezza. Ci piace ricordarlo, almeno come può ricordarsi una scintilla che avvía un grande fuoco, una goccia d’acqua che disseta, la polla d’un inesauríbile corso d’acqua che scorre fino ai nostri giorni, una parola che c’induce a importanti riflessioni.
 
Efisio Cadoni
   
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