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Il crocefisso e le nostre croci  
       
Tra qualche giorno sarà di nuovo Pasqua. Il lungo e freddoloso inverno di quest’anno pare avere ritardato più del solito il risveglio della natura. I tronchi induriti ed invecchiati levano i loro rami spogli a un cielo mai tanto avaro di azzurro e di sole, nascondendo gemme e fiori allo sguardo e al domani. Perfino noi cristiani sembriamo risentire del prolungarsi del gelo e fatichiamo ad uscire dal letargo, pur sapendo dell’approssimarsi del grande evento della morte e resurrezione del Signore che arriva già a marzo, all’apparire della primavera e delle rondini. Rigettiamo, dunque, il torpore e disponiamoci a fare, ancora una volta, memoria del grande dono della salvezza di Cristo.
Intensa, donata totalmente scorre la sua vita fino a quando qualcuno l’abbatte, illudendosi di averlo soppresso unicamente perché lo ha visto morire in croce, nudo, deriso e solo.
Il Crocifisso resta per tutti immagine della crudeltà e dell’efferatezza cui può giungere un cuore malvagio quando, in nome di presunti, deliranti diritti, annulla negli altri la vita e la dignità e in se stesso la coscienza accecandola con la brutalità. La croce, in quanto simbolo di tortura e di morte cruenta, non può non richiamare la nostra attenzione sui tanti crocifissi che ancora oggi l’arroganza di carnefici senza scrupoli immola in tante regioni della terra. Per noi credenti il Crocifisso è il più incredibile e misterioso atto salvifico di Dio per l’umanità. Contemplare Gesù in croce significa illuminare di senso l’esperienza del dolore che presto o tardi coinvolge ognuno di noi.
Il Crocifisso, dunque, resta sia simbolo di sofferenza e sia testimonianza della forza travolgente dell’amore che si fa dono. Anche il non cristiano intellettualmente onesto riesce ad apprezzare quella immagine per i valori umani ed universali che sottintende.
L’amore resta infinitamente più convincente della brutalità dell’odio. L’uomo martoriato che pende esanime sulla croce ci interpella tutti e ci chiede di esaminare in profondità il nostro io e di scegliere come metro di giudizio la pietà e la misericordia.
E allora? Perché rinunciare a Colui che da duemila anni si offre a noi come paradigma di un’umanità derisa e calpestata e come icona stupenda del sopruso subito e trasformato in perdono? Grazie, Uomo della croce! Ci stai dinanzi con le braccia allargate in un supremo gesto di accoglienza.
Chi non ti vuole vorrebbe rimuoverti dai luoghi ove la pietà ti ha posto come segno di condivisone e di speranza. Ti si potrà pure strappare da una parete, ma non dal cuore, perché Tu resti saldamente e profondamente piantato dentro l’esistenza di ciascuno. Grazie, Gesù! Io ti accolgo e ti amo. Tu, non mi abbandonare. Buona Pasqua!
 
Don Giovannino
   
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