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L’attività mineraria a Villacidro nel 1700  
       
Agli inizi del XVIII secolo, la ricerca mineraria ed i primi saggi su campionature, veniva svolta con l’ausilio di contadini e braccianti locali che si avvalevano di strumenti manuali elementari, quali martelli e mazzette. Anche la cosiddetta cernita, la scelta del minerale dalla fanghiglia, veniva svolta manualmente, così pure il trasporto effettuato con l’ausilio di cestini di giunco o di canne. Il lavoro era pagato sulla quantità di minerale cernito e trasportato senza nessun riferimento alle ore impiegate (questo parametro non era assolutamente contemplato). Il minerale accumulato in questo modo veniva trasportato su carri trainati da buoi o cavalli verso i punti di imbarco di Carloforte e Cagliari.
La fase di attività di tipo industriale inizia quando con Carta Reale del 30.07.1740, il Console di Svezia in Cagliari, Carlo Gustavo Mandèl con i soci e finanziatori Carlo Brander e Carlo Holtzendoff, ottennero la concessione generale per coltivare tutti gli indirizzi minerari della Sardegna per la durata di 30 anni. La società Mandèl, Brander e Holtzendoff nominò quale responsabile il sassone Christian Bose.
Le località esplorate con l’ausilio di alcuni coltivatori e di ditte locali furono: Monti Mannu (Villacidro), Montevecchio, Genn’e Mari e Ingurtosu. La coltivazione e l’estrazione veniva svolta con l’ausilio di scalpelli e mazze.
Quando iniziò la tecnica di perforazione della roccia mediante dei fori sistemati a diverse distanze tra loro, si utilizzò l’esplosivo che era usato nei centri di produzione dei fuochi d’artificio. Il minerale estratto veniva concentrato sulla riva sinistra del rio Eleni (oggi rio Leni) a Villacidro, dove nel marzo del 1742 venne dato inizio alla costruzione di una fonderia. Tale fonderia era formata da nove forni di cui due di evaporazione, cinque a manica, due di traspirazione più un forno usato per colare l’argento in lingotti. Dietro i forni erano sistemati i mantici per l’aria, costruiti in legno ed un sistema idraulico per il forno di evaporazione. I mantici erano mossi dalla forza dell’acqua incanalata dal rio Leni e condotta all’interno della fonderia.
Altra attività collaterale fu un cantiere per la produzione di carbone di legna utilizzando la materia prima della vasta foresta della zona. Tale carbone era necessario per alimentare le fonderie della zona le quali avevano bisogno di una forte quantità di energia. Questa attività, assieme a quelle similari delle zone centrali della Sardegna e del Fluminese, portarono al disboscamento e alla distruzione di enormi quantità del patrimonio boschivo sardo. I metalli venivano trasportati con l’ausilio di carri trainati da cavalli fino alla stazione di Samassi e da qui a Cagliari dove prendevano la via dell’Inghilterra. Come è intuibile, in relazione ai tempi descritti, le condizioni dei lavoratori addetti sia alla coltivazione mineraria che alla fonderia erano terrificanti nonostante i salari fossero superiori a quelli dei braccianti agricoli e dei pastori, senza limitazione dell’orario di lavoro ed in assenza di qualsiasi misura di prevenzione sia in relazione agli infortuni, sia alle malattie professionali. Dopo la condanna definitiva del Mandèl da parte della Reale Udienza, accusato di evasione fiscale per aver esportato clandestinamente argento sardo, il 25 marzo 1762 tutta l’attività passò sotto una gestione mista, statale e privata e dopo circa 70 anni non si ebbe più nessuna attività
 

Gigi Manca

   
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