insieme
         
2. Villacidro nei seccoli XIV e XV  
       
Nella seconda metà del X secolo, verosimilmente, in Sardegna andarono affermandosi i quattro governi autonomi giudicali di Cagliari, Arborea, Torres e Civita, suddivisi al loro interno in “Curatorie”. Afferma Francesco Cesare Casula che le “curadorias” erano il vero gioiello dell’organizzazione giudicale “che non trovano l’eguale in altri Stati europei del tempo …”. Si trattava di distretti elettorali e amministrativi formati da un insieme proporzionale di ville (= paesi), in modo da ottenere una popolazione press’a poco uguale. E così, le Curatorie più piccole erano quelle più popolate, mentre le più grandi quelle meno abitate. I vari centri poi si dividevano in “ville”, “domus”, “domèstias” e “donnicàlias”. Le ville erano i centri più popolati e in esse, al contrario delle altre case, soltanto la chiesa risultava costruita con pietre squadrate e con fondamenta, risultando l’unico edificio monumentale.
Villacidro era compresa nella Curatoria di Gippi che, a sua volta, apparteneva al Giudicato di Cagliari.
Intorno alla metà del 1200 questo giudicato venne attaccato da Pisa (dal mare) e dagli altri tre giudicati (tutti filopisani) e sconfitto. In seguito a ciò la Curatoria di Gippi, nel 1257, passò sotto l’influenza dei Giudici di Arborea. Qualche decennio più tardi, con testamento del 4 gennaio 1295, Mariano II, la cedeva a Pisa, insieme ad altri territori.
I primi documenti scritti sono i Registri delle Decime pagate alla Santa Sede nei secoli XIII e XIV. Per Villacidro, invece, gli unici elementi documentari certi li si trova nei registri dei tributi che le ville della Curatoria di Gippi dovevano devolvere a Pisa e riguardano gli anni 1316/22 e 1359/60. Su quanto segue, risulta di fondamentale importanza lo studio sulle fonti di Angela Terrosu Asole (Le sedi umane medioevali nella Curatoria di Gippi).
Per una migliore comprensione dei dati, sarà bene tenere conto delle seguenti premesse:
- l’ammontare delle tasse da versare si calcolava sui redditi posseduti da ogni nucleo familiare;
- per stabilire i quantitativi di orzo e di grano da consegnare, si appurava prima quanto in media ciascun terreno poteva fruttare. Il tributo richiesto da Pisa risultava pari a un dodicesimo di quanto stimato;
- il numero di abitanti di ciascuna villa, secondo calcoli elaborati dal Solmi, lo si recuperava moltiplicando per sei il quantitativo di lire alfonsine (e dei suoi decimali) che ciascun capofamiglia era tenuto a consegnare all’erario della città toscana (il n° sei corrispondeva a un nucleo familiare che egli supponeva composto mediamente di sei persone: padre, madre e quattro figli). C’è da precisare che oggi la maggior parte degli studiosi di storia sarda propende per attribuire alle famiglie di quel periodo una composizione media di 5 individui;
- il vino veniva tassato alla vendita al minuto;
-il raffronto lo si fa sempre tra Villacidro e Leni che, in quel periodo, sembra essere il centro più importante della Curatoria.
Veniamo così a sapere che nel periodo 1316-1320 Leni paga 14 lire per la produzione di vino, mentre Villacidro non versa niente in quanto non risulta produttore (sarà stato vero?).
Nel periodo 1320-1322 l’importo complessivo dei tributi corrisposto da Leni è pari a 173 lire e 8 soldi (di conseguenza la popolazione è di 1040 abitanti).
Villacidro versa 11 lire e 14 soldi e gli abitanti sono appena 70. Leni risulta il primo in tutta la Curatoria, Villacidro l’ultimo.
Negli stessi anni l’imposta sul grano per Leni ammonta a 76 quintali (e cioè a un dodicesimo della produzione totale, stimata in 1129 quintali) e per l’orzo a 64 quintali (su una produzione complessiva di 760 quintali). Villacidro, invece, versa appena 6 quintali di orzo (sul totale di 72 quintali prodotti), ma non grano!
Per l’affitto di “saltus” (terreni), nel 1316-1320, a Leni viene esigita un’imposta di 8 lire, mentre Villacidro non compare.
Secondo il De Vico, intorno al 1336, su decisione del re d’Aragona Don Alfonso, ci fu una prima infeudazione di Villacidro al Marchesato dei Mascal. Il Marchese morì senza lasciare eredi e il re Don Giovanni d’Aragona concesse il feudo a Don Nicolò Carroz. In seguito alle proteste di Pisa, nel 1355, il re d’Aragona – secondo quanto afferma la D’Arienzo – reintegrò le ville della Curatoria di Gippi nell’amministrazione pisana e questo per una quindicina d’anni.
Dai registri dell’erario di Pisa del 1359-1360 si viene a sapere che in quegli anni Villacidro non aveva più prodotto né grano, né orzo poiché i suoi abitanti non seminavano (“granum et hordeum homines supra scripte Ville Cedri non solvunt Comuni pisano quod non arant”). In quello stesso documento si trovano elencati i nomi di 23 capifamiglia. Si precisa che gli abitanti di Villacidro abitano in montagna (sunt in montaines) e che possiedono bestiame (habent bestiamina). Tuttavia, dal versamento in moneta effettuato in quegli anni ai Pisani (40 lire) e che risulta più che triplicato rispetto a quanto versato precedentemente, si deduce che la popolazione del villaggio raggiunge ormai le 240 anime. La guerra di occupazione aragonese, evidentemente, non aveva arrecato grossi danni e la montagna si era rivelata rifugio più che sicuro.
A partire dal 1414, con carta reale del 14 agosto data in Alghero e, successivamente, con altra carta reale del 14 ottobre dello stesso anno, la Curatoria di Gippi – e quindi anche Villacidro, - venne data in feudo al cagliaritano Giovanni Siviller in remunerazione dei servigi prestati al re. Nel documento del 14 agosto si dice che Villacidro è una villa deserta et sine aliqua populatione, mentre sei anni dopo (nel 1420) il villaggio risulta di nuovo abitato.
 
   
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