insieme
         
Sapersi accontentare  
       
Tanti non riescono a raggiungere la serenità perché incontentabili. Si vuole, si reclama, si pretende, si protesta continuamente in nome dei propri diritti non sufficientemente appagati, sempre alla ricerca di altro. E così si finisce per vivere perennemente da insoddisfatti. Ciò che si ha o che si è raggiunto non è mai abbastanza perché si desidera ancora di più.
Chi è vittima di questo difetto, vive sempre nella diffidenza e nello scontento. Se malato nessuno soffre quanto lui, se è in salute anche questo è poca cosa rispetto agli altri problemi che lo affliggono. Se vive nella solitudine il mondo è un insieme di egoisti, se sta in compagnia non vede l’ora di isolarsi perché gli interlocutori gli risultano noiosi. Se è povero, pensa che il benessere altrui sia frutto di furbizia e disonestà, se invece è benestante, nessuno ha mai lavorato e faticato quanto lui e quanto possiede ritiene che non corrisponda a quanto sarebbe nel suo diritto avere. Nessuno ha mai lavorato, sofferto, fatto del bene quanto lui. Eppure, neanche questa alta considerazione di sé è in grado di tranquillizzarlo
. Se a sbagliare o a incappare nella sfortuna sono gli altri, ciò è da attribuirsi alla loro poca avvedutezza e alla scarsa volontà, se ad esserne colpito è lui, allora se la prende col mondo intero, convinto di essere vittima del destino. Se qualcuno lo frequenta, si fa sospettoso, quasi che lo si faccia per interesse. Se uno vive tutto casa e lavoro è un asociale, se ama viaggiare o divertirsi è uno spendaccione o un superficiale. Insomma, non gli va mai bene nulla e la litania potrebbe continuare ancora a lungo. Queste persone, spesso, sono anche profondamente religiose e praticanti.
Proprio su questo vorrei per un attimo far riflettere. A che serve infatti la fede se non riesce a suscitare neppure il desiderio della pace interiore? Una pace che si fa accettazione, abbandono e fiducia; che libera dalla tensione e che fa essere contenti di quello che si è e che si ha; che porta a relazionarsi con gli altri con positività, senza pregiudizi e diffidenze. Come potrà risultare credibile il cristiano che si arroga il diritto di giudicare e condannare, che non sa farsi prossimo di chi gli vive accanto, che rifiuta il perdono? I danni di un simile stile di vita non si colgono soltanto a livello di rapporti sociali, ma anche dentro quella comunità che è la Parrocchia. Per costoro, chi collabora attivamente è un arrivista che ama mettersi in mostra e chi sta ai margini vuole dire o che è stato rifiutato, oppure che è un buono a nulla. Qualunque cosa si dica, si faccia o si progetti viene accolto con atteggiamento critico. Tutto appare inadeguato e insufficiente. Anziché lasciarsi coinvolgere a una collaborazione positiva si preferisce stare a guardare, sempre pronti a rilevare ciò che non va e non gli sforzi fatti. Se si cerca di dare risposte a un problema si preferisce sottolineare gli aspetti che ancora difettano. E così, pur non dubitando minimamente della coerenza della loro fede, tuttavia si ostinano a sentirsi delusi, continuando a non apprezzare e a sottovalutare ciò che ricevono dalla vita, dagli altri e dalla propria comunità di appartenenza. Sprecano l’esistenza privandola di un sorriso e dimenticano che le miserie umane fanno parte del vissuto di tutti e che la vera correzione fraterna inizia sempre da se stessi. Intanto, inesorabile, la vita scorre e … lascontentezza pure. Ma allora, perché non cambiare?
 
Don Giovannino
   
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