insieme
         
Speciale Giornata Mondiale della Gioventù
Cosa sono stati capaci di fare i giovani?  
       
E'decisamente molto di più della somma degli elementi che la compongono una Giornata Mondiale della Gioventù. Non basta mettere assieme uno tsunami di giovani magari chiassosi, un papa anziano di età, ma fresco e pimpante, una città bella come Colonia che li accoglie e il gioco è fatto. Troppo riduttivo. La GMG è ben altro! È una scarica da un milione di volt (uno per ogni partecipante) che ti arriva nel cuore, ti attraversa la spina dorsale e giunge su un mondo che ultimamente dava troppi segnali di morte. Finalmente una boccata di aria fresca alla finestra della speranza.
C’è un invisibile quanto palpabile filo che collega un milione di matti a partire da quello vestito di bianco (il papa! non me ne vorrà se gli do del matto) assieme a quelli vestiti di porpora o di violetto (cardinali e vescovi) con quelli vestiti con un collarino o con una crocetta o come capita (vedi il sottoscritto), con ragazze e donne col velo (suore) e con un mondo variopinto di t-shirt indossate da volti giovani e sorridenti che si accalcano per adorare Gesù e per ascoltare il Vangelo che a dispetto dei suoi 2000 anni è tutt’altro che superato. È la fede questo filo invisibile e non importa se molti o pochi dei partecipanti non ne avevano tanta (chi può
giudicarlo?), ciò che importa è il decidere di mettersi in viaggio per cercarne il nome e il volto: Gesù di Nazareth.Così come i Magi venuti dall’Oriente e le cui reliquie sono venerate nel duomo di Colonia. Dunque: speranza, fede… manca la carità! Ma anche quella è stata vissuta in maniera concreta in quei giorni! È vero abbiamo perso la pazienza, ci siamo arrabbiati per alcune (solo alcune?) pecche dell’organizzazione tedesca (caduto il mito dell’efficienza teutonica), ma siamo stati capaci di socializzazione con persone di paesi che stanno a migliaia di km di distanza senza capire un’acca della loro lingua e masticando un inglese da schifo (almeno per quanto mi riguarda). Siamo stati capaci di prenderci per mano e di far sventolare affiancate le nostre bandiere anche se appartenenti a paesi nemici o quasi (anche bandiere irakene con quelle americane). Siamo stati capaci di fraternità con giovani così diversi da noi per razza, lingua, vestiario, incontrati nelle strade, nelle piazze, in metropolitana. Siamo stati capaci di condividere il poco cibo che ci veniva dato e quello portato da casa (perché il giovane sardo è previdente e si porta salsiccia, pecorino e spianate), capaci di brindare con del buon vino villacidrese (avevamo la scorta grazie a un nostro parrocchiano) con un prete di lingua inglese che poco abituato all’alcol ha dormito per tutta la veglia. Siamo stati capaci di cantare anche in mezzo alle difficoltà (come gli scouts) e di gridare i nostri slogans quando in fila per ore all’uscita della spianata di Marienfeld rischiavamo seriamente di perdere l’aereo perché c’era il collasso delle vie di comunicazione. Siamo stati capaci di ascolto della Parola di Dio e di quella dei vescovi e cardinali (che ci hanno fatto compiere una lotta da titani contro il sonno: in verità a soccombere erano in molti). Siamo stati capaci di accogliere i discorsi di un papa novello che ci ha portato, da vero catechista, con un linguaggio deciso, ma semplice, ai confini col mistero di Dio. E ancora siamo stati capaci di sforzo personale per riaccostaci al sacramento della Riconciliazione magari seduti su un sacco a pelo e di commuoverci profondamente nel guardare con occhi nuovi, quelli di Dio, le nostre esistenze fatte di alti e bassi, di successi e sconfitte, di sbagli e di slanci di generosità. Siamo stati capaci di prendere con sincerità l’impegno di darci da fare per la costruzione di un mondo migliore perché convinti come il papa che non solo aspiriamo a cose grandi, ma con l’aiuto di Dio possiamo realizzarle. “Dimostratelo agli uomini, – ha detto con forza papa Benedetto al termine dell’omelia – dimostratelo al mondo che aspetta proprio questa testimonianza dai discepoli di Gesù Cristo”. E così siamo tornati nella nostra Villacidro con un aereo cargo (ben più grande del velivolo ballerino che ci ha riportati a Elmas) di volti, suoni, parole, urla, sensazioni, emozioni, aneddoti a non finire che a distanza di una settimana facciamo ancora fatica a riordinare nel nostro cuore. L’effetto GMG passerà, resti almeno quel desiderio grande, forse ancora confuso di porre Cristo come criterio e orizzonte ultimo delle nostre scelte quotidiane nello studio, nel lavoro, in Parrocchia.
 
don Giovanni
   
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