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Un progetto internazionale sull'emigrazione in Argentina

Si sta avviando a conclusione la ricerca storica denominata Uno studio sull’emigrazione delle popolazioni insulari del Mediterraneo europeo in Argentina fra il XIX e il XX secolo. Forme di collaborazione, integrazione e sopravvivenza delle culture minoritarie europee. I casi delle isole Baleari, Malta e Sardegna. Tale studio si inserisce nel quadro di un progetto internazionale promosso dal Centro Studi SEA di Villacidro nel 2005 ed elaborato con due partner europei, l’Università delle Isole Baleari (UIB) e il National Statistics Office (NSO) di Malta, e un partner argentino, il Centro de Estudios Migratorios Latinoamericanos (CEMLA) di Buenos Aires. Progetto al quale si sono associati il Centro Studi e Ricerche “Dossier Statistico” Immigrazione Caritas-Migrantes (IDOS) di Roma e l’Associazione Italia-Inghilterra di Cagliari.
La prima fase della ricerca, avviata nel gennaio del 2005, prevedeva un’iniziale raccolta di fonti scritte e orali sull’emigrazione in Argentina da condurre nelle isole Baleari, a Malta e in Sardegna e, in minor misura, in Argentina. Data la vastità del fenomeno, in Sardegna, dove ha operato il Centro Studi SEA, si è scelto di condurre un’indagine in alcuni comuni campione della Provincia del Medio Campidano. I risultati di tale lavoro saranno pubblicati subito dopo le festività di Pasqua.
La seconda fase ha previsto ancora la raccolta di fonti scritte, orali e materiali presso archivi europei e argentini. Il progetto si concluderà a Villacidro nel corso di un convegno internazionale che si terrà nell’Auditorium Santa Barbara per esporre i risultati della ricerca attraverso un confronto tra differenti realtà insulari coinvolte nell’iniziativa e la partecipazione di docenti e ricercatori che proverranno da Malta, dalle Isole Baleari, dall’Argentina e dall’Italia. Tra i docenti, un sacerdote, Lorence Attard (Maltese) e un religioso dell’Ordine degli Scalabrini, padre Mario Santillo (argentino). Al termine del Convegno, seguirà la pubblicazione degli atti.

Martino Contu

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Legittima difesa e valore della vita

Noi stiamo con Abele e non con Caino”, così esulta il ministro della Giustizia Roberto Castelli, riferendosi a rapinati e rapinatori. E’ stata approvata in Parlamento l’aggiunta di dodici righe all’articolo 52 del Codice penale, con cui si rendono liberi i cittadini di utilizzare le armi da fuoco per difendere la propria vita e i propri beni. Al sondaggio on-line promosso dal Corriere della sera sulla nuova norma, hanno risposto in 40 mila, dei quali il 66,4 % si è pronunciato a favore di quest’ultima. Gli italiani non si sentono abbastanza sicuri sotto la protezione delle forze dell’ordine: il telegiornale, quotidianamente, ci pone di fronte ad aggressioni e rapine a danno di negozianti, anziani, persone sole che spesso pagano con la propria vita. Nella maggior parte dei casi i colpevoli non vengono individuati; talvolta, dopo un interminabile processo, subiscono la condanna a tanti anni di detenzione, molti dei quali però detratti dalla pena per buona condotta. Ciò provoca nelle vittime o nei loro cari amarezza e delusione. Tale stato d’animo si diffonde a macchia d’olio tra la gente e, per questo, non è difficile comprendere come mai tante persone condividano i principi contenuti nella nuova legge. Possedere un’arma e potersi difendere da sé è per molti motivo di tranquillità, ma questo si rivela ancor più pericoloso, perchè potrebbe trasformare molte semplici rapine, spesso ad opera di ragazzi, in veri e propri scontri a fuoco, con una conseguente crescita di morti. Questa nuova disposizione risolve il problema solo apparentemente e si pone sulla scia delle leggi adottate dagli Stati Uniti d’America, dove avere un’arma a portata di mano è normalissimo per chiunque. Tale libertà non determina un calo del numero delle vittime, anzi, sono molto più frequenti i casi in cui persone comuni o addirittura ragazzi che, in casa, hanno tranquillamente accesso ad un’arma, compiono vere e proprie stragi tra coetanei. Inoltre, la modifica della legge 52 non specifica quali siano i limiti entro i quali la difesa può essere ritenuta legittima o meno. Durante una rapina la vittima può perdere la sua lucidità e, con un’arma da fuoco in mano, premere il grilletto anche senza un’effettiva minaccia per la sua vita, mettendo a rischio se stesso e la vita del rapinatore. La nuova legge è stata presentata agli italiani come un’ulteriore possibilità di esercizio della propria libertà, ma in realtà è un’offesa al diritto alla vita di chiunque, rapinati e rapinatori. Il nostro è uno stato civile e come tale ha il dovere di garantire la sicurezza della sua popolazione. Il governo dovrebbe concentrarsi sulle modalità da attuare per far rispettare a tutti la legge, piuttosto che trovare dei sotterfugi con l’intento di scaricare sui cittadini una responsabilità che la Costituzione italiana, base della nostra giustizia, ha affidato unicamente allo stato, al fine di garantire a tutti il rispetto della vita.

Laura Muntoni II C
Liceo Classico “E. Piga”

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