insieme
         
Il bene più grande
       

Secondo dati statistici ufficiali, dal 1969 (anno della mia ordinazione), i giovani tra i 14 e i 29 anni morti per incidenti stradali hanno già superato in Italia i centomila, mentre quelli che vivono in stato di grave invalidità sono almeno il doppio. I giorni più a rischio risultano essere la domenica (19,7%) e il sabato (15,4%) e questo la dice lunga sulle principali cause di questo triste e tragico fenomeno, purtroppo in continua crescita. Penso soprattutto a queste innumerevoli croci, disseminate in tante strade e cuori, mentre celebro, con la mia comunità parrocchiale, la 28^ Giornata per la vita, anche se, ovviamente, non dimentico coloro che diventano vittime innocenti delle altrui distrazioni o degli imprevisti. Da sempre i cristiani non si stancano di ripetere che la vita resta, in assoluto, il primo e il più fondamentale dei valori di cui nessuno è arbitro o padrone. Da qui il dovere per tutti di rispettarla e difenderla in ogni circostanza e a ogni costo, in tutte le sue fasi, anche quando la voglia di libertà vorrebbe sopraffare la ragione. Gli impressionanti dati dell’Istat riportati in apertura hanno – e in negativo – per destinatari principali proprio i giovani e la crudezza dei numeri lascia intendere che non sempre gli schianti con l’auto o con la moto sono da definirsi “tragica fatalità”. Quando infatti non si fa nulla per rimuovere le condizioni che favoriscono la tragedia è fuorviante parlare di fatalità Penso alle volte in cui ho celebrato le esequie di giovani morti tragicamente a causa della folle velocità o dell’alcol o della voglia di rischio. Di fronte a genitori straziati dal dolore e a tanti, tantissimi giovani chiusi in un irreale silenzio che sa di sconcerto e di rabbia, senti forte il bisogno di esprimere partecipazione e comprensione, ma anche di non dovere tacere, in nome della pietà, sull’incapacità di tanta gente di distinguere quella impercettibile e sottile linea di demarcazione che separa il rispetto della vita dal suo disprezzo. La frase “lo ha ucciso la strada”, allora, diventa un alibi per non riflettere sulla causa vera che ha originato il dramma. La strada non c’entra. Ad essere colpevole è l’incoscienza di chi mette a repentaglio la propria e l’altrui incolumità. Credere che valga la pena lasciarsi andare all’ebbrezza del rischio, coltivare il convincimento che ogni desiderio è un diritto che non può essere negato, fare del soddisfacimento delle proprie bramosie il fine ultimo a cui tendere, relativizzare il limite delle proprie forze, pur avvertendo che tutto questo può risultare fatale, significa mettersi contro il grande dono della vita. Bisogna dunque avere chiara questa linea di confine diversamente non si distingue più il valore dal disvalore, l’umano dal disumano, la verità dalla falsità. Lo sballo, la velocità, l’alcol, insieme ai loro derivati, non indicano amore per la vita. Chi predilige questi comportamenti fa della propria persona non un fine, ma un mezzo, perché sceglie di anteporre al proprio essere le mode illusoriamente appaganti del momento. Una pasticca, un bicchiere in più, una corsa nella notte, il brivido di un’emozione oltre ogni limite, un disperato tentativo di frenata, uno schianto, la morte.
Non sprechiamo ciò che abbiamo di più vero e prezioso. Non rifugiamoci nel fatalismo dicendo “accade, se deve accadere”. La vita è unica, irripetibile, sacra e fatta anche di limiti. Lasciamo che a condurla sia Dio e non le nostre voglie illogiche. Uno stile di vita diverso, ancora più positivo e gioioso, è possibile. Accogliamo, dunque, la vita e proteggiamola proprio perché ci viene data una sola volta.

 
Don Giovannino
   
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