Anch’io da tante persone semplici sono ritenuto “uno che può”, perché pensano che una mia parola sia tenuta in conto più di altre e perché c’è chi crede che gli imprenditori non abbiano difficoltà ad avere fiducia in me, visto il ruolo che ricopro. Quando qualcuno viene a chiedermi aiuto – se posso e alla pari degli altri – cerco di fare del mio meglio per venirgli incontro. E se mi riesce di risolvergli il problema, allora mi sento contento perché avverto di essere stato utile a qualcuno. In simili circostanze, è facile sentirsi come autorizzati a chiedere qualcosa in cambio o che il beneficiato si senta in dovere di sdebitarsi. Un simile comportamento resta sempre moralmente illecito e scorretto, ma può accadere. Il favoritismo e il clientelismo – perché di questo si tratta – non sono ipotesi astratte, ma prassi nelle quali tutti possono facilmente cadere, naturalmente sbagliando. E questo errore – lo sappiamo bene – è molto più diffuso di quanto, certo perbenismo, vorrebbe fare credere. E quando si scopre che la solidarietà serve a mascherare stili di comportamento di tipo clientelare, occorre intervenire con fermezza in difesa della dignità dei più deboli. Ora però, denunciare questo rischio è altra cosa dal far credere, con camaleontici arrangiamenti, che si sta prendendo posizione pro o contro uno schieramento partitico o qualcuno dei personaggi più in vista del panorama politico locale. Queste affermazioni, infatti, quando non rispecchiano il pensiero di chi si è espresso, sono soltanto faziose e, dunque, da respingersi con fermezza. Purtroppo la correttezza nel campo dell’informazione non di raro subisce stravolgimenti spudoratamente intenzionali e strumentali.
Al lettore che probabilmente sta cercando di capire dove voglio arrivare, dico che sto parlando di me, o meglio, di come certe volte i miei pronunciamenti vengono da certuni manipolati. E’ accaduto in passato e di recente. Mi riferisco, ad esempio, ai volgari attacchi seguiti agli articoli sulla salvaguardia del patrimonio della parrocchia, ai commenti calunniosi riservati da certa stampa a un documento degli organismi ecclesiali diocesani di cui ero primo firmatario, all’indomani delle elezioni per la nuova provincia e ai miei pronunciamenti sulla situazione occupazionale a Villacidro.
Conosco bene la parola di Gesù che mi chiede di non perdermi dietro la pagliuzza del fratello, ignorando la trave del mio occhio (Mt 7,3-5) e so quanto sia doveroso, per un cristiano, tenere lo sguardo fisso sulle proprie debolezze e i propri errori, anziché andare a cercare quelli altrui. La sapienza evangelica, infatti, raccomanda di concentrare la riflessione più su se stessi che sui comportamenti degli altri. Ma questo non può legittimare nessuno a falsificare la verità. Non si può accettare, senza reagire, di venire strumentalizzati per dare spessore a strategie politiche o partitiche di singoli o di gruppi. Esasperare il confronto fino a tramutarlo in scontro è sempre sbagliato. Lasciarsi andare, poi, a giudizi e a condanne nei confronti di persone precise, quando non si hanno riscontri, è addirittura atto terroristico ancora più colpevole se la paternità della propria acredine la si attribuisce ad altri.
Normale, dunque, che avverta disagio e fastidio quando mi accorgo di essere “usato “ per finalità che nulla hanno a che fare con il mio ruolo di sacerdote e di parroco e che, anzi, fagocitano divisioni e contrapposizioni nella comunità. Chiedo rispetto soprattutto per ciò di cui sono espressione e che rappresento. Sono pronto a rispondere di quello che dico e che scrivo e non delle gratuite interpretazioni di terzi. Non vorrei che d’ora in poi dovessi stare attento anche a quando recito l’Ave Maria! Grazie a Dio, però, devo anche riconoscere che tali signori, nonostante il rumore momentaneo che creano, non riescono a sopraffare la verità.
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