Parrocchia Santa Barbara Villacidro
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Riflessioni sul Convegno di Verona

Ho avuto l’onore di partecipare, come delegato della diocesi, al Convegno ecclesiale nazionale che si è tenuto a Verona dal 16 al 20 dello scorso ottobre e desidero comunicare alcune riflessioni su questo grande evento di chiesa. Debbo dire che c’è stato forte spirito di comunione e di fraternità, bassissima conflittualità, clima di dialogo, grande senso di Chiesa. Si è parlata la stessa lingua. Palese la volontà di camminare insieme e di superare le separazioni e gli individualismi a tutti i livelli. Il rapporto tra le conclusioni dei gruppi e le relazioni generali non sempre è parso evidente. Questo, però, più che dimostrazione di limite, è sembrato segno di creatività e complementarietà. Riflessioni sul Convegno di VeronaIl racconto del Convegno fatto dalla stampa si è rivelato poco oggettivo soprattutto nelle chiavi di lettura, che non sono sembrate adeguate a descrivere un evento ricco e complesso (ci si è principalmente soffermati a una lettura “politica” degli interventi, rimarcando i passaggi in cui, i vari relatori, - secondo le loro valutazioni - avrebbero offerto argomenti pro o contro la così detta “linea Ruini”). E’ nota l’ostinazione con la quale certa cultura e partiti vorrebbero restringere i confini di competenza della Chiesa limitandone l’azione alla sfera privatistica e vietandone ogni influenza sulla vita e sulla società. Noi cattolici dobbiamo essere consapevoli della fatica con cui il laicismo accetta la Chiesa per quello che effettivamente è: una istituzione che si rivolge a tutti, proponendo gli ideali e i valori che scaturiscono dal Vangelo di Gesù. Parlare con chiarezza non significa fare scelte pregiudiziali di schieramento o entrare nel merito delle competenze che sono proprie dello Stato. Probabilmente, - e per fortuna!, - la gente ormai ha capito che la Chiesa non fa politica quando enuncia valori e principi e parla alle coscienze. C’è anzi da auspicare che il cattolicesimo italiano diventi ancora più consapevole dei compiti che gli sono propri nei confronti della più vasta comunità. E al riguardo, si deve riconoscere che, al suo interno, è già in atto un gigantesco sforzo per fronteggiare le numerose ferite presenti a livello sociale e personale: usura, disoccupazione, sofferenza psichica e fisica, dolore e morte, sfascio delle famiglie, emigrazione, solitudine, ecc… In una cultura che predica il tornaconto e l’autocontemplazione di sé, la comunità ecclesiale continua, con passione e silenziosamente, a testimoniare, dentro le fragilità dell’esistenza, il Vangelo del Crocifisso Risorto, speranza del mondo. Certo, non mancano contraddizioni e resistenze, e la Chiesa ne è consapevole, ma questo, semmai, stimola ancora di più all’impegno dentro la storia degli uomini. Ora è il momento di trasferire, all’interno delle comunità credenti, l’esperienza vissuta, gli insegnamenti condivisi, la vitalità spirituale emersa. Perché il Convegno di Verona comincia proprio adesso. Ad esempio, rimane aperto il problema di fare diventare realtà il discorso del Papa all’interno della base cattolica che, a mio parere, è generosa nel darsi, ma poco convinta di potere e dovere svolgere un’azione più incisiva all’interno della società italiana. Il crollo delle ideologie, i nuovi poteri della scienza e della tecnica, le questioni legate al multiculturalismo e il rapporto con l’Islam, aprono scenari del tutto nuovi. L’illusione che i problemi si possano superare con soluzioni deboli e accomodanti è più che mai diffusa, anche se convince sempre meno. Ci si rende conto, infatti, che ciò che è parziale è inadeguato e incapace di dare risposte convincenti al cuore e all’intelligenza. Il relativismo culturale appaga solo momentaneamente; alla lunga lascia vuoti e smarriti perché svilisce i diritti umani fondamentali. Tornando al Convegno, ciò che ora conta è il trasferimento dei risultati e delle idee emerse dentro le comunità diocesane e parrocchiali. Penso all’esigenza, più volte ribadita, di rilanciare con convinzione la dottrina sociale della Chiesa. Perché questo avvenga, occorre prima conoscerla e poi tramutarla in pane quotidiano dentro le parrocchie. Di fronte agli operatori c’è una mole di prolusioni, relazioni, introduzioni e sintesi che attendono di essere tradotte in azione pastorale in attesa che a maggio del prossimo anno, siano i vescovi ad approvare gli indirizzi pastorali per tutto il Popolo di Dio che è in Italia. Concludo, auspicando che la carica di fiducia e di entusiasmo, vissuta a Verona dai delegati, si diffonda capillarmente tra i cristiani di tutta Italia, perché dovunque si torni ad essere “testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”.

Don Giovannino

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