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Agire per vocazione. Magari!
 

Quando si vuole esaltare l’impegno e la dedizione al prossimo di una persona si usa l’espressione “lo fa per vocazione”, in quanto le motivazioni che sorreggono il suo agire vanno al di là del modo comune di operare. In questo modo si vuole sottolineare che nella società coloro che si impegnano con particolare serietà e rigore sono sempre una eccezione. La vocazione viene visto come un ideale in nome del quale ci si dispone a servire gli altri con una passione e un coinvolgimento fuori dal comune. Sono tante le professioni che si prestano ad essere vissute nella dimensione della vocazione: medici, insegnanti, avvocati, giornalisti e, perfino, politici possono essere guidati nell’esercizio delle loro funzioni da motivazioni alte che vanno oltre il mero interesse pecuniario o la ricerca del successo personale. A questi vanno aggiunti (o, forse, sarebbe meglio dire: dovrebbero aggiungersi) tutti coloro che hanno scelto di fare della loro vita un dono al prossimo (preti, frati e suore). Dunque, accanto ai molti che svolgono il loro lavoro per lucro, alcuni, per fortuna, sanno andare oltre il proprio orticello per seguire obiettivi decisamente più nobili e umanitari. Chi svolge un servizio per vocazione è continuamente preoccupato di conseguire i fini che si è dato come primari. Nella misura in cui gli riesce, si sente realizzato. E’ capace di affrontare sacrifici, rinunce e difficoltà di ogni genere al contrario della maggioranza che si accontenta del minimo sforzo. Facile capire a questo punto che l’agire per vocazione o per mestiere non sono la stessa cosa. Se uno è guidato dal desiderio di ottenere fama, successo e denaro, anche se si dimostra impegnato e responsabile, difficilmente si potrà dire che al primo posto del suo fare ha posto finalità ideali di amore al prossimo. Ovviamente la dimensione vocazionale dell’attività di un individuo deve essere riconosciuta come tale dagli altri. Nella società contemporanea pluriculturale e postmoderna, però, tale processo non appare facile. Secondo uno stile oggi dominante nei mezzi di comunicazione di massa, di fatto, esiste ed è visibile solo ciò che fa “notizia”. Di conseguenza quanti operano lontano dal clamore e dai riflettori non sono percepiti e identificati e quindi non finiscono nell’agenda di chi fa informazione. Inoltre è ormai prassi diffusa diffondere modelli culturali e regole di condotta in contrasto fra loro. Tutto questo certo assicura una maggiore libertà di scelta, ma favorisce anche la perdita di senso,di orientamento e di punti di riferimento sicuri. Chi invece è portatore di una vocazione imprime alla propria vita una direzione chiara che lo porta a vivere in funzione dei suoi ideali. Si potrebbe pensare che tali persone sperimentino di frequente sentimenti di positività a motivo del fatto che si stanno spendendo per il prossimo e non primariamente per se stessi. In realtà è vero il contrario. E’ più probabile che dall’interno dei loro gruppi di appartenenza giungano messaggi di freddezza e gelosia che fanno loro avvertire il senso dell’incompiutezza, costringendoli ad ingoiare molti bocconi amari. Proprio questo porta a pensare che coloro che abbracciano per davvero una vocazione siano pochi in tutti i settori. D’altronde è anche vero che se la vocazione risultasse sempre vincente e gratificante, i suoi seguaci sarebbero enormemente più numerosi. Afferma Antonio La Spina (Dialoghi, dicembre 2009) che: … in una società di individui ‘minimalisti’, narcisisti, ripiegati su se stessi e sul proprio particolare, desiderosi di soddisfazioni rapide, quotidiane, presenti, orfani di valori, ideali e ideologie che, nel bene così come nel male, indichino traguardi futuri che ‘trascendono’ ciò che sussiste qui e ora, è facile che i più non abbiano una vocazione o, quand’anche ricevessero la ‘chiamata’, facciano orecchie da mercante.
E’ così nell’ambito delle professioni umane, ma è così anche all’interno della Chiesa. Certo, almeno per questi ultimi dovrebbe essere pacifico il dovere di un impegno gioioso e incondizionato per gli altri. Sappiamo però che non è così. Anche tra il clero è possibile incontrare persone adagiate,  che svolgono la propria missione limitandosi ad assicurare i servizi necessari (“funzionari del sacro”) in maniera abitudinaria e stanca, senza passione e voglia di spendersi. Peccato!

 

Don Giovannino

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