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"Centu concas, centu barritas"
 

Tante migliaia di anni fa, quando ancora non si conosceva niente di ciò che la storia ci narra, vivevano due fratelli gemelli tanto intelligenti e intraprendenti, quanto poveri. Pensa oggi, pensa domani, per sfuggire alla miseria, non trovarono di meglio che avviare, autonomamente, un ufficio di consulenza. Il primo aprì uno sportello a difesa dei diritti della persona affiggendo all’ingresso un’insegna con su scritto: “Ho diritto di …”. Il secondo invece credette di fare fortuna sistemando sopra la porta lo slogan: “Ho il dovere di …”. Per il primo fu subito un successo. Una processione continua di uomini e di donne veniva a rivendicare i più svariati diritti: quello a dire la sua, ad esistere, a vedersi riconosciuto dagli altri, a fare di sé quello che voleva, e così via. Per il secondo, invece, fu un fallimento. Non si vedeva nemmeno l’ombra di un passante. Nessuno che facesse capolino almeno per un istante per avanzare una qualche proposta o per chiedere chiarimenti.
Si notò, tuttavia, che man mano che passava il tempo, le fiumane di persone che accorrevano per difendere i propri diritti, apparivano sempre più insofferenti. Il fatto è che tutti si intestardivano nelle proprie rivendicazioni, nella convinzione di avere il diritto ad interpretare la realtà, e quindi la propria vita, i beni e gli altri, facendo riferimento soltanto al proprio punto di vista e al proprio interesse. Il bene e il male vennero ridotti a un puro arbitrio: “Bene è ciò che voglio io, male ciò che non torna a mio vantaggio”. Si giunse così all’assurdo che tutti quei cittadini lottavano per fare della loro volontà l’unico criterio di verità. Tutti cercavano di appropriarsi di ciò che apparteneva agli altri in nome appunto dei propri, presunti diritti. Fu il caos. C’era chi sosteneva: “il corpo è mio (oppure: “la vita è mia) e ne faccio quello che voglio”; “la vita la trasmetto io e dunque ho il diritto di concederla o di sopprimerla quando mi pare”. Altri ancora si ostinavano a difendere il diritto a giustificare il proprio egoismo, ad appropriarsi degli altri secondo i propri interessi. C’era chi sfruttava la terra in maniera sconsiderata, senza preoccuparsi delle conseguenze provocate dal degrado ambientale, chi, - pur di arricchire, - vendeva sostanze che distruggevano in breve tempo i corpi e le menti degli acquirenti e chi, infine, addomesticava le coscienze, insegnando dottrine che giustificavano ogni soggettività e che rinnegavano l’esistenza di norme universali e vincolanti. Soprattutto si finì per vivere gli uni contro gli altri nella più cinica diffidenza intenti a difendere il proprio star bene e la qualità della propria esistenza, senza preoccuparsi degli altri. Accadeva così che a soccombere fossero sempre i più deboli, perché i più indifesi. Intanto la situazione peggiorava sempre più. I rapporti tra persone si erano talmente deteriorati che ai sentimenti si erano sostituiti gli istinti selvaggi e all’ordine sociale, la legge della giungla. Fu la fine di quel popolo, perchè si sa che una comunità senza regole e senza punti di riferimento è destinata a scomparire.
Da allora, qualche persona, tra le più riflessive, si decise finalmente a varcare l’uscio dell’ufficio del fratello gemello. E qui, dinanzi alle comuni delusioni e alle aspettative frustrate, lentamente recuperarono la consapevolezza che il dovere non era – come avevano pensato – quel padrone spietato che impone ciecamente la sua volontà e umilia la libertà della persona quasi fosse un dittatore arrogante e senza cuore. Il dovere, al contrario, apparve loro come un grande valore morale che favorisce il rispetto della propria e dell’altrui persona, dei propri e degli altrui diritti e che spinge ad amare e a difendere la vita. Compresero finalmente che se manca la consapevolezza del dovere, il diritto si traduce sempre in amplificazione del proprio egoismo e in volontà sfacciata di appropriazione. Compiere bene il proprio dovere significa prendersi cura di se stessi, degli altri e di quanto ci circonda. Conclusero pertanto che ad ogni diritto doveva corrispondere anche un dovere. Anzi, capirono finalmente che l’uno non poteva esistere se non in relazione all’altro e che non può durare a lungo una società “cun centu concas e centu barrittas”.

 

Don Giovannino

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