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Non sfrattiamo il crocifisso
 

Di tanto in tanto, tornano agli onori delle cronache le contestazioni sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici (aule scolastiche o consiliari, sale di tribunali, ecc…). Le motivazioni che si portano a sostegno della richiesta ruotano sempre intorno a questo concetto: il crocifisso è un simbolo religioso cristiano, mentre i luoghi sede di istituzioni pubbliche sono laiche, e quindi al servizio di tutti i cittadini, che possono professare anche altre fedi religiose o soltanto essere agnostici o atei. Non ho difficoltà a riconoscere che la croce è un segno storico, legato al cristianesimo. I romani la chiamavano “servile supplicium” in quanto la crocifissione era la pena capitale riservata agli schiavi e ai ribelli. Giuseppe Flavio, storico ebreo del I secolo dell’era cristiana, passato al servizio della famiglia imperiale Flavia e, di fatto, pagano, l’aveva definita “una sofferenza intollerabile, la più penosa delle morti” (Guerra Giudaica, 7, 202-203). Quasi quarant’anni fa, nei pressi di Gerusalemme, è stato rinvenuto lo scheletro di un uomo crocifisso all’incirca al tempo stesso di Gesù. Si chiamava Giovanni. Nel piede aveva ancora infisso un chiodo e negli avambracci erano visibili i segni di altri due fori. Questa, come ci narrano i vangeli, fu la pena inflitta a Gesù dal procuratore romano Ponzio Pilato nella primavera di un anno tra il 30 e il 33 della nostra era, poco fuori le mura di Gerusalemme su un piccolo rialzo chiamato in aramaico Golgota e in latino Calvario. Su quel patibolo Gesù chiuse la sua esistenza terrena. Da quel momento, per i credenti cristiani prima, per la civiltà europea dopo e, in seguito, per la cultura dell’intero Occidente (e non solo), è diventato simbolo della sofferenza umana, della tragicità della morte e, perfino, del silenzio di Dio. Segno dell’uomo che soffre e che muore immerso nel dolore. Il crocifisso ha acquistato una simbolicità universale in quanto icona del dolore innocente e di un’umanità vilipesa e schiacciata dall’odio. Segno inconfondibile del giusto oppresso e umiliato. Dunque, messaggio silenzioso che parla al cuore e alla mente della persona sensibile alla drammaticità dell’esistenza che si rivela più eloquente di mille prediche o discorsi. Già 20 anni fa. la scrittrice Natalia Ginzburg affermava, sulle colonne dell’Unità: “Non togliete quel crocifisso! E’ là, muto e silenzioso. C’è stato sempre. E’ il segno del dolore umano, della solitudine della morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo”. Lo scrittore agnostico argentino Borges, premio Nobel per la letteratura, dichiarava di non riuscire a staccare lo sguardo da quel volto: “La nera barba pende sopra il petto./ Il volto non è il volto dei pittori./ E’ un volto duro, ebreo./ Non lo vedo/ e insisterò a cercarlo/ fino al giorno/ dei miei ultimi passi sulla terra”. L’ex Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi aveva definito il crocifisso “un simbolo di valori che stanno alla base della nostra identità”. Ignazio Silone, nel romanzo Il segreto di Luca, riporta questo dialogo: “Il figlio di Luca, durante l’interrogatorio guardava fisso sulla parete, al di sopra del presidente. “Cosa guardate?”, gli gridò il presidente. Gesù in croce – gli rispose Luca – non è permesso? “Dovete guardare in faccia chi vi parla”, gridò il presidente. “Scusate, - replicò Luca, - ma anche lui mi parla; perché non lo fate tacere?”. Silone ha colto nel segno. Il crocifisso parla davvero a tutti, soprattutto alle vittime, agli oppressi e agli infelici innocenti. Parla ai credenti e ai non credenti e farlo tacere non è possibile perché il suo messaggio si trova già impresso nel cuore di ogni uomo. Lo si può sfrattare e cacciare, questo sì, ma non si può cancellare la sua testimonianza. L’ostilità e il rifiuto della sua persona non potranno mai sopprimere la bellezza e la ricchezza di cui egli è simbolo. E allora, non schiodiamolo né dai luoghi del nostro vivere, né dai nostri cuori. Egli resta il segno inconfondibile delle sofferenze e dei dolori dell’uomo di sempre. In lui non c’è rassegnazione, ma speranza. Egli è la luce che continua a illuminare l’esistenza di quanti sono chiamati a percorrere la via oscura dell’ingiustizia e della persecuzione.

 

Don Giovannino

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