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1° Maggio tra contraddizioni e speranze
 

"Finalmente sarò padrone del mio tempo”. E’ questa l’espressione più diffusa tra coloro che al termine della carriera lavorativa attendono il momento del pensionamento. Per la verità, ne circola anche un’altra molto meno appagante, che brutalmente afferma: “Quando lascerai il lavoro, non sarai più nessuno”. Resta evidente che entrambi i detti vanno poi adattati al singolo individuo e dunque, sono da considerarsi parziali e soggettivi. Infatti è vero che ci sono persone che hanno fatto del lavoro l’unico valore della loro vita. Per questi la seconda massima rischia di essere pericolosamente attuale. Tante altre, però, - e per fortuna, - pur applicandosi con impegno e assiduità alla professione, che ha loro garantito “il pane quotidiano”, hanno saputo anche coltivare una capacità creativa più pluralista, arricchendosi di molteplici interessi. Per questi, il pensionamento, non sarà certamente un dramma, anzi, vedranno questa tappa come un’occasione per tuffarsi con maggiore slancio negli hobbies che li hanno sempre appassionati. Dicono le statistiche che il lavoro, in media, assorbe il 50% dell’intera esistenza di una persona (supposto, naturalmente, che si abbia avuto la fortuna di trovarne uno …). Il dato, se ci riflettiamo un po’, appare abbastanza convincente. Infatti, alla quantità di tempo che destiniamo al lavoro, dobbiamo poi aggiungere anche quello che risulta strettamente ad esso collegato: i viaggi per raggiungere quotidianamente la sede, la preparazione intellettuale, psichica o soltanto materiale per il suo buon svolgimento, e così via … Il lavoro, poi, assorbe energie, comporta fatica, suscita preoccupazioni, sofferenze e, spesso, causa tensioni a motivo dei conflitti relazionali con i colleghi. Quando impegna oltre misura, costringe il lavoratore a uno stress ancora maggiore.
Rifletto su queste cose, mentre oggi, 1° Maggio, si celebra la Festa del lavoro. Contemporaneamente, però, mi viene anche da pensare a coloro che, nemmeno in questo giorno, hanno niente da festeggiare, appunto perché senza lavoro. E allora plaudo alle tante manifestazioni che si tengono per sensibilizzare le istituzioni a favore dei tanti giovani, donne e padri che il lavoro non ce l’hanno o per denunciare l’intollerabile e impressionante numero di incidenti mortali sul lavoro che sta seminando di croci e di lutti il nostro Paese. Penso a quei genitori, ormai prossimi alla pensione, che si portano nel cuore la pena del lavoro precario o, peggio ancora, della disoccupazione che ancora colpisce qualcuno dei loro figli. Quante contraddizioni! E man mano che si va avanti pare che tutto diventi ancora più incerto: il lavoro stabile, la sicurezza, l’età pensionabile, il trattamento di fine rapporto. Sembra che non esistano più garanzie con il risultato che per le giovani generazioni il rischio di non poter serenamente progettare il proprio futuro si fa di giorno in giorno più concreto. Tanti, come si vede, sono gli interrogativi che affiorano alla mente e che contribuiscono a destabilizzare la pace e la serenità di una persona. Davvero non è facile rendere la propria vita significativa, mentre le regole che dovrebbero garantire sicurezza e stabilità cambiano continuamente. Come genitori, però, non possiamo e non dobbiamo disperare. Auguriamoci, perciò, che anche per il domani dei nostri figli sia possibile dare un senso all’esistenza. Che essi possano guardare lontano, sicuri di riuscire a costruire, da protagonisti, il loro futuro e di sentirsi parte integrante di una società che progredisce senza mai calpestare i diritti e la dignità di alcuno.

 

M. Rita Marras

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