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Le visite Pastorali dei Vescovi di Ales
 

Mons. Sanna (1524) e Mons. Aymerich (1789)

 

Parte prima. La visita pastorale, fin dai primi tempi del Cristianesimo e in età medievale, è stata lo strumento privilegiato all’interno del rapporto tra la comunità dei fedeli e i pastori. La visitatio, pertanto, è un’antica istituzione della chiesa - le cui radici affondano in alcune lettere pastorali di San Paolo (la prima e la seconda Lettera a Timoteo e la Lettera a Tito) - che acquista particolare e rinnovata importanza dopo il Concilio di Trento (1545-1563). Infatti, dal XVI secolo in poi essa conobbe una diffusione capillare e generalizzata nel mondo cattolico, nonostante tale istituzione sia presente anche nelle chiese riformate, luterane e calviniste. Come ha scritto Giuseppe Zichi, le notizie che riguardano le visite pastorali derivano da due fonti distinte: «La prima è rappresentata dagli atti veri e propri delle visite, oggi comunemente denominati Diari o Verbali di visita o anche Libri dei decreti di visita. La seconda, che invece tramanda la semplice notizia della avvenuta visita, è costituita dalle Relationes ad limina e dalle vidimazioni dei registri dei Libri parrocchiali, noti come Quinque Libri, e recanti la sottoscrizione del visitatore». Dal punto di vista storico le visite pastorali costituiscono delle fonti documentarie di notevole importanza, sia per quanto riguarda gli aspetti storico-religiosi (come ad esempio i riferimenti alla liturgia e al cerimoniale dell’epoca, alla catechesi, al livello di istruzione religiosa, allo stato delle parrocchie, al numero delle cresime celebrate, agli arredi delle chiese, ecc.), sia per quanto attiene gli aspetti descrittivi e quantitativi, fra i quali segnaliamo: la viabilità, le condizioni socio-economiche e culturali (livello di benessere delle popolazioni visitate, presenza delle scuole, ecc.), le condizioni sanitarie (presenza della malaria o di altre malattie endemiche), climatiche (le perturbazioni atmosferiche, la quantità di precipitazioni, ecc.) ed altre ancora, sulle quali la storiografia ha concentrato già da qualche tempo la propria attenzione. Occorre però chiarire che la visitatio, come qualsiasi altra fonte storica, è parziale, e pertanto va letta nell’ottica del vescovo, ovvero del visitatore. Le cautele risultano necessarie quando ci si accosta a questo tipo di documentazione, risultando necessaria una correlazione con altre fonti. Per poter utilizzare al meglio gli atti visitali «è necessario – scrive Cecilia Nubola – avere a disposizione alcuni strumenti essenziali come indici e inventari archivistici a volte non ancora disponibili. In generale si può dire che in Italia sono ancora parziali e carenti proprio quegli strumenti fondamentali per la ricerca come indici, repertori di fonti, regesti, elenchi di fondi archivistici, guide agli archivi. Questo è uno dei motivi, anche se non l’unico, della frammentazione della ricerca, della presenza di buone monografie regionali o locali, ma della difficoltà di tracciare linee generali di storia (storia delle istituzioni, storia sociale, storia religiosa), che superino l’ambito locale o i confini degli antichi stati italiani. I modi di utilizzo delle visite pastorali sono riconducibili sostanzialmente a due: il primo prevede la trascrizione e l’edizione dei documenti in forma integrale o in forma di regesto; il secondo è indirizzato alla compilazione di repertori e di inventari. Entrambe le opzioni possono essere realizzate nella forma tradizionale oppure col supporto di strumenti informatici». Il primo modo di utilizzo degli atti visitali viene impiegato generalmente per alcune tipologie di visite: per quelle medievali o precedenti al concilio di Trento, in quanto risultano più gestibili dal punto di vista della consistenza, a causa della scarsità e parzialità della documentazione; per visite pastorali particolarmente importanti ed “esemplari”. Questa esperienza storiografica è stata condotta tra gli anni Settanta e Ottanta dall’Istituto per la storia sociale e religiosa di Vicenza, sotto la direzione di Gabriele De Rosa, e dall’Istituto per la storia sociale e religiosa del Mezzogiorno. Altro modo di utilizzo consiste nell’inventariazione delle visite, elaborando appositi questionari. Metodologia utilizzata negli anni Settanta e Ottanta prima in Francia e poi in Germania. Sia la trascrizione integrale delle visite che l’inventariazione degli atti visitali possono essere gestiti più facilmente attraverso l’uso dell’informatica.

 

Manuela Garau

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