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La Visita pastorale di Mons. Andrea Sanna 1521 - 1554
 

Mons. Andrea Sanna, nativo di Cagliari, fu il secondo vescovo della nuova diocesi di Ales-Terralba (1521-1554) - nata dall’unificazione delle diocesi di Usellus e Terralba voluta da papa Giulio II con la Bolla Aequum reputamus del 26 novembre 1503 – che successe al fratello Giovanni, primo prelato del neo vescovado dal 1507, in seguito alla scomparsa dei titolari di Usellus e Terralba. Mons. Andrea Sanna fu nominato vescovo da papa Leone X il 10 maggio 1521, mentre dal 4 maggio 1522 fu nominato Inquisitore Apostolico di Sardegna, carica già ricoperta dal citato fratello vescovo. Poi, anni dopo, papa Giulio III, nel corso del Concistoro del 3 agosto del 1554, lo nominò arcivescovo di Oristano, nella cui sede si insediò il 23 dicembre dello stesso anno. Lasciò un’opera manoscritta dal titolo De monumentis antiquis Sardiniae che andò perduta. Morì ad Oristano nel 1555.
Nel 1524, mons. Sanna, tre anni dopo aver preso possesso della diocesi di Ales-Terralba, compì la sua visita pastorale. Questa visita si rivela particolarmente importante per vari motivi: innanzitutto il diario della visita pastorale, scritto in lingua catalana, è il documento più antico dell’Archivio della Curia Vescovile di Ales, attualmente ubicato nei locali dell’ex Seminario Tridentino, la cui fondazione risale al 1703, ad opera del vescovo cagliaritano mons. Francesco Masones y Nin; la fonte risulta essere di notevole importanza storica e sembra configurarsi come un unicum nella Sardegna pre-tridentina della prima metà del Cinquecento; la visitatio viene effettuata in una diocesi dove le vie di comunicazione erano precarie, in un’area altamente malarica tanto da spingere i vescovi, anche nei secoli successivi al Cinquecento, a risiedere nella lontana e sicura Cagliari piuttosto che nel piccolo e malsano centro di Ales. Si tratta, infine, di una visita che, pur nella sua semplicità descrittiva, è condotta con diligenza, risultando preziosa per le informazioni che fornisce sui luoghi e le persone, sugli altari e gli accessori, sul tabernacolo e sui vasi sacri, sui retabli e i paliotti d’altare, sul fonte battesimale, sulle campane e sugli altri arredi delle chiese e, infine, sui libri e sulle vesti liturgiche.
La visitatio si svolse dal 5 al 16 aprile del 1524 in undici ville, secondo il seguente itinerario: Sardara (parrocchia di Santa Maria di Sardara), San Gavino (parrocchia di Santa Chiara), Gonnosfanadiga (parrocchia di Santa Barbara), Serru (chiesa di San Lorenzo), Arbus (parrocchia di San Lussorio), Guspini (parrocchia di San Nicola), Pabillonis (parrocchia di San Giovanni Battista), Bonorzuli (parrocchia di Santa Anastasia), Mogoro (parrocchia di Sant’Antioco e chiesa di San Bernardino), Gonnostramatza (parrocchia di San Michele), Sérzela (parrocchia di San Paolo). Di questi undici centri, Serru, Bonorzuli e Sérzela scomparvero nell’arco dei due secoli successivi. I primi due risultano non esistere più già all’epoca del vescovo mons. Giusepe Maria Pilo (1761-1786), mentre Sérzela - che da un documento del 1763, anno della prima visita pastorale dell’alto prelato sassarese, risultava essere abitata da 50 persone - scomparve nel 1775 con la chiusura della parrocchia di San Paolo. La visita non riguardò i centri di Arcidano, Uras e Terralba, i quali, pur facendo parte della diocesi, probabilmente risultavano disabitati a causa delle incursioni di turchi e barbareschi, i quali rendevano insicuri i litorali sardi, non disdegnando di spingersi per diversi chilometri nell’immediato retroterra, saccheggiando e depredando i villaggi che incontravano sul loro cammino. «Quando una galeotta o una fusta di corsari – scrive Angelo Rundine in un suo saggio – incrocia in prossimità della costa, i villaggi che rischiano di essere assaliti, sono in fermento: la sola vista di una vela corsara genera paura. In alcuni anni, come il 1555, il loro numero è tale che l’intero mare isolano sembra circondato di galere e fuste: secondo la testimonianza di Andrea Sanna, tutti si sentono come prigionieri e nessuno si azzarda a lasciare l’isola».
Il diario della visita, custodito presso l’Archivio della Curia Vescovile di Ales, è contenuto in un fascicolo legato di 10 carte senza coperta né scritte che ne indichino il contenuto. Esso conserva intatto il testo, nonostante la fragilità del supporto scrittorio e la lacerazione dei bordi. Il testo delle registrazioni della visita pastorale è da attribuirsi a due mani diverse, probabilmente a due curati che accompagnarono, in momenti diversi, il vescovo nella sua visitatio. Infatti, alla prima mano - come scrive Cecilia Tasca – «ancora molto influenzata da un uso tardivo dell’impianto gotico, dobbiamo attribuire la prima parte del testo corrispondente alle cc. 1-3, ovvero alla visita della villa di Sardara, mercoledì 6 aprile, […] e alla visita della chiesa parrocchiale di Santa Chiara di San Gavino e contestuale registrazione dell’inventario di tutti gli arredi, cui testimoniarono il successivo venerdì 8 aprile gli obrieri Giovanni Tallu e Antonio Contini». La seconda mano invece, che subentra dalla c. 4 sino alla fine della registrazione, è caratterizzata «da una maggiore spigolosità del tratto e da una minore accuratezza, ma anche da un maggiore ricorso ai termini dialettali, più usuali nella lingua parlata, cui appartengono le registrazioni del giorno 10 […], dell’11 […], del 12 […], del 13 […], del 14 […], del 15 […] e del 16 […]».

 

Manuela Garau

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