Parrocchia Santa Barbara Villacidro
Piazza S. Barbara, 2 -- 09039 Villacidro (CA) ITALIA Tel. e fax: +39 070932018
Santa Barbara Villacidro
                   
               
 
siete in: home > IL GIORNALINO > novembre 09 > Alfonso Paltrinieri
 
Alfonso Paltrinieri
 

Alfonso Paltrinieri non era un eroe pronto a combattere per onore o per altra causa. Era un commerciante, un padre di famiglia, aveva cinque figli, un buon cristiano che ha lasciato un esempio cristallino che merita di essere ricordato. Era nato in Argentina da genitori italiani i quali, messa da parte una modesta fortuna, erano ritornati in patria ed avevano acquistato una proprietà a San Felice sul Panaro. Qui Alfonso ha dato avvio a un caseificio che consente a lui, alla moglie, Ines Gallini, e ai 5 figli di vivere piuttosto agiatamente. Ma la guerra, voluta dal governo fascista, si è aggravata. La fattoria di Ponte Bonate si trova al centro di un via vai sospetto. Vi si soffermano i militari e gli altri evasi dal campo per ottenere aiuto e informazione sulla via che li porta verso il sud liberato. Alfonso Paltrinieri non è un politico, ma un cristiano sì. Dà cibo, riparo, informazioni. Di solito i fuggitivi proseguono rapidamente, ma un giorno arriva un paracadutista inglese seriamente ferito. I Paltrinieri lo accolgono, lo curano, lo nutrono. La presenza dello straniero, tuttavia, viene notata e la famiglia Paltrinieri viene arrestata in massa. Dapprima Alfonso, Ernesto e le figlie Lorenza ed Ermelina, in un secondo tempo la signora Ines che si consegna al posto delle due ragazze che vengono rilasciate. A casa resta solo la mamma ultraottantenne con le figlie più piccole. A questo punto la vicenda personale dei Paltrinieri entra nella storia della resistenza. Dopo l’8 settembre il paese è diviso in due: ai tedeschi e ai repubblichini si oppongono gli uomini della resistenza che sognano un paese libero. Rivelatesi vane le minacce e le sanzioni, decidono di dare un esempio che serva di monito almeno per gli incerti. Alfonso Paltrinieri abbastanza conosciuto nei dintorni è scelto insieme con Arturo Anderlini, un noto antifascista di Modena. Viene preparato in gran fretta un processo farsa celebrato nella notte fra il 21 e il 22 febbraio 1944 da un Tribunale militare straordinario di guerra. La sentenza è stata già emessa, al punto che la sera erano state ordinate le casse da morto per i due imputati, si vuole solo una parvenza di giustizia. A nulla valgono le eccezioni della difesa. Nelle prime ore del mattino viene reso pubblico quel che i giurati già sapevano. Alfonso Paltrinieri è condannato a morte, la moglie Ines Gallini a 24 anni di reclusione. Ernesto, il figlio maggiore di Alfonso, esce inopinatamente dal processo. All’atto di preparare i documenti, un giovane fascista già compagno di scuola di Ernesto, ha avuto prontezza di spirito. Agli atti Ernesto figura come un ragazzo di 10 anni e non come un ventenne. Nella fretta di quella notte nessuno si preoccupò di verificare. Mentre il tribunale si accinge a giudicare Anderlini, Alfonso incontra il cappellano don Giuseppe Piombini: è preoccupato, poi si calma, prega, si confessa e si comunica, scrive delle lettere alla moglie, alla madre, ai figli. Concede il perdono ed esorta tutti al perdono. Poi, con l’aiuto del cappellano, riesce ad incontrare per un’ultima volta la moglie e il figlio. Scrive il cappellano: "Scena straziante, specialmente quando devo annunciare la sentenza di morte al figlio, che non sapeva nulla. Poco dopo abbraccio commovente fra madre e figlio. Montano in macchina con me. Altra scena straziante l’incontro del padre, della madre e del figlio. Passiamo insieme una decina di minuti, che non dimenticherò mai più". E’ arrivata, intanto, l’ora dell’esecuzione. La madre viene riaccompagnata al carcere, il figlio viene liberato e il padre è condotto al poligono di tiro. Qui, prima di morire, Paltrinieri chiede la parola: "Perdono a tutti quelli che mi hanno fatto del male ed anche a voi che state per eseguire la sentenza". Egli era preoccupato per la sorte della moglie e dei figli e voleva proteggerli da ulteriori rappresaglie. Per questo più volte insistette sul fatto che la responsabilità della decisione di soccorrere il soldato inglese era solamente sua. Ma il gesto che rende ancora oggi luminosa la sua morte è quella insistenza gratuita, inattesa, quasi inspiegabile sul perdono. Il figlio Ernesto, raccontava: "Al momento di salutarci si sfilò la fede e me lo diede da custodire. Poi aggiunse: “Se verrai a sapere chi ha fatto la spia e non gli perdoni, non sei degno di essere mio figlio”. E con buona probabilità noi abbiamo saputo chi era stato a denunziarci. Ma cosa potevo fare? Come venire meno alla promessa fatta a mio padre?". Il gesto di Alfonso acquista così quasi una forza sacramentale. L’anello, pegno di amore e di fedeltà, diventa sigillo di amore che ha avvicinato i protagonisti all’amore redentivo di Cristo. Alfonso non solo volle perdonare, ma guardava già a una situazione nuova segnata non più dall’odio ma dalla riconciliazione. Qualche ora prima dell’esecuzione Alfonso Paltrinieri scrisse alla moglie una lettera che è documento di valore civile e di profonda pietà cristiana nella quale la implora di perdonare i suoi giustizieri.

  <<Torna ai titoli
   
  Pagina:    1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
 
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
     
         
       
sito realizzato da: Francesco Chia      
Copyright ©2004