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La pazienza dell'attesa
 

Dicono le statistiche che un italiano su tre, nella sua vita, almeno occasionalmente, fa uso di droghe (se non altro del diffusissimo spinello). Se così fosse, - ma le percentuali mi sembrano esagerate - io che appartengo a quei due terzi di poveracci, fatti all’antica, che non hanno mai voluto godere le emozioni di una vita libera, non oppressa dalle regole e dai tabù di un’educazione oscurantista, dovrei vergognarmi di non avere provato, nemmeno una volta, i benèfici effetti garantiti dagli stupefacenti che certa gente intelligente vorrebbe liberalizzare. E invece, il disappunto per non essermi ancora liberato dai modi di essere che – secondo costoro – restano retaggio di paure e mentalità proprie di un mondo che non c’è più, non mi sfiorano neppure (grazie al cielo!). Il fatto è che la droga sembra coinvolgere ormai un numero impressionante di persone di tutti le età e classi sociali. A ben osservare, essa è diventata lo status symbol, il distintivo di una società vacua che ha rigettato gli strumenti tradizionali che un tempo la moltitudine degli uomini utilizzava per affrontare le asperità della vita. Oggi, un numero consistente di famiglie vive nell’angoscia al sopraggiungere del sabato sera e delle notti in discoteca, perchè tra i giovani pare sia invalsa la convinzione che il divertimento non è completo se non ci si accosta anche all’alcol e alle pasticche. Ormai non si dà analisi sociologica senza che si faccia riferimento alle montagne di spinelli, pasticche e polverine biancche (leggi eroina e cocaina) che con sempre maggiore frequenza vengono sognate per irripetibili esperienze di piacevoli paradisi (Cfr. la tabella riportata in ultima pagina del giornale).
La saggezza maturatasi nell’umanità in millenni di anni insegna ad affrontare le prove e le difficoltà dell’esistenza con fermezza e coraggio. Oggi invece si preferisce aggirare le difficoltà ricorrendo a sostanze che assicurano appagamenti momentanei, che però non spostano di una virgola gli ostacoli che la vita presenta. Tra le virtù che la tradizione cristiana propone come fondamentali c’è quella della fortezza (accanto a: prudenza, giustizia e temperanza). Come reagire di fronte alle prove con cui, presto o tardi, tutti dobbiamo fare i conti? C’è davvero da sperare ( e quindi da adoperarsi) perché anche le nuove generazioni abbiano a riscoprire il valore – ad un tempo antico e nuovo – della fortezza che è tenacia e carica interiore che educa a procedere con determinazione. Una cosa è certa: quello che sta accadendo non è segno di progresso, ma di decadenza e di morte. L’educazione civile e religiosa, che in passato ha forgiato generazioni e società, rimane ancora attuale, al di là delle mode passeggere di certa cultura. A noi è richiesta la pazienza dell’attesa insieme alla volontà di continuare a trasmettere, senza scoramenti e pessimismi, il grande patrimonio della sapienza antica.

 

Don Giovannino

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