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Birmania: è ancora emergenza
 

Solo pochi mesi fa i giornali e la tv ci hanno allarmato con la situazione politica presente in Birmania, ora a distanza di poco tempo nessuno ne parla più, la notizia forse non fa più scalpore, eppure la situazione rimane comunque decisamente grave. Ma le radici di una situazione così grave dove affondano? Qual è la causa scatenante di una protesta popolare che, seppur pacifica, ha creato vittime e scalpore? Va da sé che, la causa, non può essere ricercata altrove se non nel potere politico. Da anni vige una dittatura così forte da aver ridotto in miseria il Paese e da aver azzerato totalmente i diritti civili. Come si è arrivati a questo? La Birmania, ribattezzata nel 1989 Myanmar dalla giunta militare al potere, è un’ex colonia britannica. Indipendente dal 1948, dal 1962 venne guidata da un Generale golpista, Ne Win, che in pochi anni ridusse il Paese alla fame, nazionalizzando le industrie e proibendo il libero scambio. La democrazia risultò ancora più compromessa con la soppressione dei partiti politici, con la totale assenza di libertà di stampa e di diritti civili. Il paese rimane così isolato dal mondo per anni, poi nel 1988 il generale fu spodestato dall’esercito e arrivò al potere la giunta militare, che represse nel sangue alcune rivolte studentesche causate dall’aumento del costo della vita, durante le quali persero la vita migliaia di persone e sparirono un numero indefinito di dissidenti. Tra le vittime ci furono anche molti monaci. Da allora i rapporti tra governo e religiosi sono sempre stati tesi. In questo periodo, Aung San Suu Kyi, figlia di un eroe che aveva lottato inutilmente per l’indipendenza, fonda un partito, la Lega nazionale democratica (LND) che, nel 1990, vince le elezioni. Il terribile generale Than Shw, però, prende il potere annullando la decisione popolare e arresta Suu Kye che da allora vive tra carceri e arresti domiciliari ed è diventata anche premio nobel per la Pace. La situazione nell’ultimo decennio è precipitata, i dati mostrano un paese in ginocchio, con il più alto numero di soldati bambini e con il più alto tasso di lavoro forzato. Ad agosto del 2007, dopo gli ultimi rincari, è iniziata l’opposizione pacifica dei monaci. Nelle settimane seguenti migliaia di persone sono state arrestate per aver manifestato seguendo i religiosi per le strade, sono stati accusati di terrorismo e per questo rischiano anche venti anni di carcere e torture. Che fare? Siamo appena a dicembre e già non se ne parla più, le telecamere si sono spostate verso notizie fresche, la Birmania non interessa più, così fa l’ONU e tutta la Comunità Internazionale. Stiamo tutti a guardare, salvo poi vestirci di rosso in un giorno prestabilito per esprimere la solidarietà ai monaci buddisti birmani. Aung San Suu Kyi chiede di sottoscrivere la petizione della Burma campaign inglese
(http://www.burmacampaign.org.uk/mtvaction.html), affinchè Than Shwe rilasci tutti i prigionieri politici.

 

Francesca Ortu

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