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I cristiani e l'impegno etico e politico
 

La cultura, nei paesi dell’Occidente, appare sempre più condizionata dalla tecnologia e, di conseguenza, dal bisogno incessante di novità. Niente riferimenti alle proprie radici e alla storia, se non in percentuale molto sfumata, e massima attenzione, invece, ai bisogni e agli interessi da soddisfare. Da questa esasperata spinta al ripiegamento su se stessi derivano le difficoltà di relazione, solidarietà e condivisione che caratterizzano i rapporti tra persone e gruppi. La deriva individualistica impedisce di andare oltre i confini dei propri orizzonti e di aprirsi al confronto con gli altri. Eppure, a ben osservare, le conflittualità non mancano. Si pensi alle tensioni crescenti intorno ai temi della famiglia, degli immigrati e della giustizia sociale. La parola d’ordine sembra essere diventata. “Ognuno per sé!” e questa mentalità, inevitabilmente, rischia di far scivolare tutti, - singoli e collettività, - nel relativismo e nel nichilismo. Si sta diffondendo un sistema di pensiero che di fatto misconosce la dimensione spirituale della persona riducendone le aspirazioni al semplice possesso di cose e al diritto di modellare la propria esistenza sulle proprie voglie, senza riferimento a valori universali condivisi. Davvero tempi duri, - e su molti versanti. – sia per quanto riguarda i problemi quotidiani delle persone che per quelli che oggi si definiscono – soprattutto tra i cattolici – “valori non negoziabili” e che invece da certo mondo laico vengono contestati e negati con sempre maggiore veemenza. Ho l’impressione che sia in atto una strategia tesa a suscitare difficoltà di comunicazione tra i credenti e questa cultura “laica”, al fine di emarginare la fede dalla scena pubblica. La pregiudiziale che incoraggia a dimenticare il passato tenta, e con successo crescente, di legittimare il diritto della persona ad agire e a scegliere, in assoluta libertà e autonomia da norme prestabilite e vincolanti. Le ragioni del bene si dice che vanno condivise soltanto qualora assicurino riverberi di opportunità per il singolo. Dunque, a ciascuno deve essere garantito di credere in ciò che vuole e di progettare la propria vita come meglio crede. Tutto, in nome dell’inviolabile dignità della persona, deve essere riconosciuto come legittimo, e nessuno, a iniziare dallo Stato, può misconoscerlo. Anzi, le istituzioni hanno il dovere di tutelare con leggi ad hoc il principio del “così è, se vi pare”. E i cristiani? Quale è il loro ruolo? Come devono accogliere questa realtà culturale, dal momento che i loro valori sono concettualmente altri? Intanto devono evitare la tentazione di rifugiarsi nel proprio mondo. La scena pubblica non va assolutamente abbandonata, altrimenti si fa il gioco di chi vorrebbe confinare Dio all’interno dei luoghi di culto, escludendolo dai contesti ove gli uomini faticano, amano e decidono e cioè dalla vita che, invece, necessita di senso e di speranza. Non è un mistero che in tante nazioni della nostra Europa si vorrebbe condizionare il diritto alla cittadinanza dei cristiani alla privatizzazione della propria visone ideale del mondo che dovrebbe pertanto ridursi a semplice sentimento personale. Il credente, invece, è chiamato a riappropriarsi della sua identità e a dialogare con tutti, soprattutto con gli indifferenti e i diffidenti, evitando la prepotenza e il massimalismo e partendo dalla forza della testimonianza. Gli si chiede di saper dimostrare che i valori in cui crede non sono oscurantisti e conservatori, ma aperti al progresso vero degli individui e delle società proprio perché non si fanno “accomodanti” sul piano dell’etica e della legalità. Con il suo stile, deve essere capace di dire a tutti: “venite e vedrete”. Ne consegue che i princìpi morali che scaturiscono dalla sua fede non può limitarsi a difenderli stando rinchiuso dentro la comunità ecclesiale, ma suscitando interrogativi e inquietudini sulla realtà misterica dell’esistenza dentro i molteplici palcoscenici della politica, della finanza e della cultura. Il pluralismo culturale non può far paura. Gli argomenti contro certo pensiero che vorrebbe ridurre le aspirazioni e la dignità della persona al semplice possesso di cose esteriori e al diritto di poter modellare l’esistenza partendo dal proprio tornaconto, senza riferimenti a valori universali, sono numerosi e intellettualmente fondati. A questo punto, però, mi affiora dentro un interrogativo: “Questi cristiani, esistono?” Non sarà il caso che la Chiesa riprenda con vigore a spendere in energie e iniziative per la formazione di persone credenti che sappiano, con la loro competenza, credibilità e passione partecipare alla costruzione della società, facendosi testimoni dei valori umani e cristiani attraverso uno stile di servizio che rifugge dai compromessi e dai tornaconti?

 

Don Giovannino

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