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Famiglia e povertà: dati allarmanti
 

Quasi in concomitanza con l’ISTAT, anche il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Mons. Bagnasco, ha denunciato la crescente povertà del ceto medio e di milioni di famiglie in Italia. Il Presidente dei Vescovi attinge le sue conoscenze dalla capillare rete di centri caritas presenti in ogni parrocchia della penisola. Impressiona la concordanza di dati tra quanto affermano le rilevazioni effettuate all’interno di questi enti caritativi della Chiesa e la fotografia dell’Italia offerta dall’ISTAT per il 2006. Ormai la percentuale della popolazione che stenta ad arrivare a fine mese raggiunge il 15%. Ancora, l’Istituto di statistica parla di un 28,9% di famiglie che non sarebbe in grado di fare fronte a una spesa imprevista che raggiungesse i 600 euro. Allarmante, poi, quel 5,8% di persone che non si può permettere neppure un’alimentazione adeguata. E accanto alle vecchie povertà se ne affacciano di nuove, non meno drammatiche ed emarginanti. Ci sono persone che a causa di crisi familiari si trovano in situazioni economiche di non sopravvivenza e poi, ad essere penalizzate maggiormente sono le famiglie monoreddito e con figli. Dal canto suo Mons. Bagnasco, ha messo in evidenza tre tipologie di povertà. La prima è quella delle famiglie che faticano a trovare risposta ai bisogni primari e cioè che non riescono a fare quadrare il bilancio familiare mese dopo mese. La seconda è quella legata alla solitudine di chi, di fatto, vive in condizioni di sistematica emarginazione, senza il calore di una famiglia o di qualche persona amica e questo, soprattutto nei grandi agglomerati urbani. Infine le povertà dovute alla mancanza di valori e di ideali forti che portano alla deriva e all’incapacità di dare un senso positivo all’esistenza. Si pensi, ad esempio, ai soggetti vittime di anoressia o bulimia, agli schiavi dell’alcol o degli stupefacenti o a quanti sono già scivolati nel mondo della criminalità. Senza nulla togliere alle responsabilità che sono proprie di chi, istituzionalmente, ha il compito di amministrare secondo giustizia e di assicurare a tutti i mezzi per un dignitoso sostentamento. La Chiesa, giustamente, fa appello anche alla coscienza delle persone perché a una cultura dell’egoismo si sostituisca quella della solidarietà e della sobrietà. Come in passato, - quando si viveva in condizioni di povertà diffusa, - anche oggi le famiglie e i singoli sono chiamati a maturare gesti di condivisione e sensibilità sociale, nei confronti di chi è più sfortunato e solo. Chiudersi a riccio dentro le proprie difficoltà, non fa bene a nessuno. Aprirsi invece a rapporti solidali può risultare utile non solo a chi è destinatario dell’azione caritativa, ma anche a chi la promuove, perché arricchisce il cuore e dona gioia.

 

M.Rita Marras

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