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San Giuseppe Maria Gambaro
 

Il 1° ottobre del 2000, papa Giovanni Paolo II ha canonizzato un gruppo di 120 martiri in Cina, vittime delle ricorrenti persecuzioni che si scatenarono contro la cristianità. Fra questi c’è Bernardo Gambaro. Nacque a Galliate, provincia di Novara, il 7 agosto 1869 da Pacifico e Francesca Bozzolo. Crebbe gioioso ed esempio di bontà. A otto anni fece la Prima Comunione, cosa rara per quel tempo e già all’età di 13 anni, maturò in lui il desiderio di farsi religioso. Verso i 17 anni con il consenso dei suoi genitori venne ammesso nel Collegio Serafico di Monte Mesma, e qui notato per la sua docilità e obbedienza alle Regole e per l’assiduo impegno nello studio. Il 27 settembre 1886 fu ammesso al noviziato nello stesso convento, cambiando il nome in fra Giuseppe Maria; sempre del medesimo umore, sempre lieto, segno evidente del suo animo buono. Al termine del noviziato, andò a completare gli studi ginnasiali e liceali nel Convento di S. Maria delle Grazie a Voghera dove restò per tre anni. Poi passò al corso teologico a Cerano nel Novarese, dove pronunciò i voti perpetui nel 1890. Il 13 marzo 1892 venne consacrato sacerdote, alla presenza dei genitori e subito destinato a dirigere il Collegio Serafico ad Ornavasso dove rimase fino alla partenza per la Cina. Il suo desiderio di farsi missionario, era sempre più forte tanto che i suoi Superiori concessero il permesso. Il 5 dicembre 1895 partì per Roma per essere sottoposto all’esame richiesto ai Missionari che avevano come destinazione la Cina. L’11 dicembre lasciò Roma per Napoli per imbarcarsi diretto ad Alessandria d’Egitto e poi in Terra Santa dove rimase per due mesi e da lì il 6 febbraio 1896 salpò definitivamente per la Cina. Padre Giuseppe Gambaro scrisse al fratello le impressioni del lungo viaggio e gli incontri con le varie Missioni nelle tappe della nave, compresi i pericoli di epidemie e tempeste di mare. Giunto nel porto di Han-kow venne accolto dai suoi confratelli, qui secondo l’antico uso locale depose l’abito francescano e indossò gli abiti cinesi, gli venne rasata la testa e adottato il tradizionale codino. Da Han-kow fu mandato a 1000 km di distanza a Heng-tciau-fu dove si dedicò all’apostolato fra i contadini e gli artigiani. Il Vicario Apostolico era rimasto favorevolmente colpito dalla figura di padre Gambaro e soprattutto dalla sua esperienza come educatore di giovani chierici, così gli affidò il Seminario indigeno, nel contempo insegnò filosofia e teologia ad alcuni giovani cinesi vicini al sacerdozio. Univa la dolcezza alla severità; ogni settimana si incontrava con il Vescovo e con il suo Vicario. Trascorsero così tre anni, finché giunsero quattro nuovi missionari di rinforzo, per cui il vescovo destinò padre Gambaro alla Comunità cristiana di Yen-tcion, realizzando così il desiderio del missionario, di essere apostolo attivo fra la popolazione. Partì così per la nuova destinazione, accolto con gli onori di un Gran Mandarino; si fece subito voler bene da tutti. Qui però rimase pochi mesi perché mons. Fantosati richiese la presenza del missionario in un’altra zona che risultava più sguarnita. Dopo Lei-yang i due si fermarono a San-mu-tciao per ricostruire una cappella distrutta dai pagani l’anno precedente e qui giunse loro la notizia, che il 4 luglio 1900 la residenza del Vescovo era stata distrutta dai pagani, aizzati dai ‘boxers’, come pure l’orfanotrofio e le case dei cristiani e dei protestanti. Inoltre, uno dei padri era stato ucciso e bruciato. Decisero dunque di tornare a Hoang-scia-wan, nonostante i tentativi di molti cristiani di trattenerli. Il giorno dopo, verso mezzogiorno, la barca arrivò sul fiume nei pressi della città. Riconosciuti da alcuni ragazzi e al grido “morte agli Europei”, la plebaglia prese le barche dei pescatori e circondò i missionari, i quali a stento riuscirono a scendere sulla riva, dove, aggrediti dalla folla urlante, furono massacrati con sassi e colpi di bastone. Padre Gambaro morì dopo una ventina di minuti di percosse, mentre al vescovo Fantosati agonizzante per le botte, ma ancora vivo, un pagano gl’infilò un palo di bambù con punta di ferro da dietro; negli spasmi il martire riuscì a sfilarlo, ma un altro pagano glielo conficcò facendoglielo uscire dall’altra parte del corpo. Padre Gambaro prima di spirare si era trascinato vicino al suo vescovo quasi a stringerlo in un abbraccio e dopo avergli sussurrato qualcosa, a cui mons. Fantosati ormai morente, alzava con pena la mano per benedirlo. Così atrocemente morirono i due martiri. Padre Giuseppe aveva appena 31 anni.

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