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La solidarietà di facciata
 

C’è una sottile forma di sfruttamento nell’agire dell’uomo che difficilmente si ha il coraggio di ammettere, anche tra chi accoglie il cristianesimo come ideale di vita. Pur convinti della dignità della persona e del valore della solidarietà come fonte di progresso sociale, è facile lasciarsi andare alla prevaricazione e alla ricerca del proprio interesse, magari sfruttando l’altrui ingenuità con la propria furbizia. Tale comportamento, assai diffuso, (purtroppo!), viene magistralmente descritto dal grande romanziere russo Tolstoj. Egli mette in guardia dal salire sulla schiera del prossimo, mentre in contemporanea ci si riempie la bocca di belle espressioni sull’amore al fratello. Egli dice: “Siedo sulla schiena di un uomo, soffocandolo, costringendolo a portarmi. E intanto cerco di convincere me e gli altri che sono pieno di compassione per lui e di desiderio di migliorare la sua sorte con ogni mezzo possibile. Tranne che scendendo dalla sua schiena”.
La sensibilità sociale non può andare a braccetto con forme di sfruttamento. L’agire umano si identifica con la sopraffazione e l’abuso ogniqualvolta al vertice dell’attenzione c’è l’interesse per se stessi e non la ricerca di ciò che è bene per il prossimo. A che serve proferire parole quali: fraternità, uguaglianza, condivisione, ecc… e magari partecipare a manifestazioni e dibattiti, se poi, sul piano pratico si è attenti soltanto a giustificare il proprio egoismo e ci si accomoda nel compromesso? Che altro sono tali atteggiamenti se non un approfittare del ruolo o delle possibilità che la vita offre alla propria persona anche se per gli altri le promesse sono soltanto chiacchiere?
Pensiamo al medico. Da lui ci si attende che la passione per la professione si trasformi in vocazione. A lui si chiede di andare oltre un freddo rapporto di diagnosi e terapia per intessere con il malato un rapporto di fiducia assolutamente unico. Questo ragionamento, ovviamente, vale per qualsiasi professione che abbia per destinataria la persona. L’incapacità e l’esosità, in qualunque contesto, diventano debolezze che minano alla base l’apertura all’altro. Voglio dire, riprendendo l’immagine di Tolstoj, che si scende dalla schiena del prossimo e si attua un vero ed efficace servizio a suo favore, quando si coinvolge totalmente la propria coscienza. La moralità non è una semplice foglia di fico da indossare nelle circostanze in cui torna comodo, ma uno stile di vita che con determinazione è chiamato a passare dalle parole ai fatti, anche quando va contro i propri interessi.
Inizia un nuovo anno. Perché non augurarci tutti maggiore rigore e coerenza nell’espletamento del nostro lavoro?

 

Don Giovannino

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